











Cosa rimane della montagna dopo che l’uomo vi ha imposto la propria egemonia? Se il lavoro comporta l’irrimediabile trasformazione del territorio, è possibile tracciare una linea di confine tra bisogno economico e devastazione ambientale? L’agire umano può essere indiscriminato se rivolto verso creature immobili come le montagne, oppure c’è altro, una frattura tra l’uomo e l’ambiente che abita, nella quale è possibile rintracciare i segni di una crisi profonda che comporta la distruzione dell’esistente a opera del singolo?
Le Alpi Apuane, col loro cuore di marmo, da sempre si trovano oggetto d’ineludibile manipolazione. Dove l’uomo interviene, nascono ferite bianche, geometriche, grandi crateri che ridisegnano per sempre la roccia alterandone inevitabilmente l’equilibrio naturale. La fotografia racconta un presente che muta rapido sotto i colpi dell’escavazione: montagne che ieri potevano essere raggiunte, domani saranno cumuli di detriti candidamente addobbati dei medesimi scarti su cui tanta, troppa speculazione è stata fatta.
L’artificio fotografico raccoglie il lascito dell’uomo alla montagna, quando il lavoro è finito ed essa può finalmente scrollarsi di dosso questi scomodi visitatori. Immagini senza uomini, un tentativo di figurarsi un futuro già presente nel quale la montagna torna a sé stessa e dove l’uomo rimane solo, a interrogarsi sulle proprie responsabilità nei confronti di questi giganti.